Incubator Program, day 3: imprenditorialità nell’high-tech e istituzioni accademiche

[L’articolo di oggi è scritto da Alessandro Grandi di AlmaCube]

La mattina è stata tutta dedicata al rapporto fra imprenditorialità nell’high-tech e istituzioni accademiche, sempre ovviamente in riferimento all’ecosistema della Silicon Valley.

In un’accogliente sala riunioni (con vista mozzafiato sul Financial District e la baia) di uno dei più importanti studi legali di San Francisco, ad aspettarci c’era un panel rappresentativo di esperienze che senza ombra di dubbio si qualificano come best practice assolute: Ken Singer per UC Berkeley, Sandy Miller per Stanford e Steve Adelman per Wharton School, University of Pennsylvania.
Insomma, le due università (una pubblica e l’altra privata) che hanno creato e continuano ad alimentare di stimoli scientifici e tecnologici prima per la nascita e oggi il continuo sviluppo della Valle, e la sede in California della Business School di una Ivy league University dell’East Coast.

Ho provato a farmi forza degli oltre 900 anni di storia di Unibo, ma il confronto è duro.

Veramente tanti stimoli e takeaway utili, rilevanti e soprattutto trasferibili anche in contesti come i nostri, incomparabilmente meno ricchi di risorse, finanziarie e non solo. Solo qualche esempio:

  1. Interdisciplinarietà: mettere insieme profili diversi, sempre. Gli ingegneri con gli studenti della
    business school, ma anche insieme ai biotecnologi, ai fisici, ecc. La contaminazione reciproca
    fra discipline, esperienze, strutture cognitive diverse è fondamentale. Questo può essere fatto
    in corsi universitari (undergraduate, graduate, o executive) di imprenditorialità nell’high-tech o
    di accelerazione a Berkeley in aule con attrezzature didattiche fantascientifiche e la vista sul
    Golden Gate Bridge, ma anche nelle università della nostra regione. Non è questione di risorse
    o di ricchezza dell’ecosistema di riferimento.
  2. Nessuno ha la formula o il modello “giusto” e definitivo. Berkeley fa in un modo, Stanford ha
    un approccio diverso, Wharton anche. Berkeley ad esempio propone il “Berkeley Method of
    Entrepreneurship”, ma poi ha 9 centri distinti nella sola Scuola di Ingegneria che si occupano di
    entrepreneurship. E comunque i programmi sono in costante cambiamento. La storia
    (maggiore esposizione al mondo delle imprese vs ricerca pubblica), la natura istituzionale
    (università pubbliche o private), il contesto geografico (West vs East coast) ha portato a
    esperienze diverse. Anche noi dobbiamo trovare la nostra strada, riconoscendo però e
    applicando rigorosamente i “fondamentali”.
  3. Attenzione e rispetto per le persone, gli studenti e i giovani startupper in primis ovviamente.
    Generosità e apertura (give before you get) nelle relazioni interpersonali e professionali.
    Disponibilità e coinvolgimento costante ed estensivo della rete degli alumni. Possiamo fare di
    più in Italia su questi aspetti? Sì e senza investire milioni di euro.

Infine una piccola consolazione: anche a Berkeley, come università pubblica, i colleghi si lamentano dei tanti vincoli, lacci e lacciuoli amministravi con cui devono fare i conti quasi quotidianamente.

Il tempo è volato, purtroppo, e abbiamo dovuto terminare la sessione (qui il rispetto degli orari è ferreo, così come del tempo degli ospiti e degli interlocutori). Il testimone è quindi passato a Stephen Torres, Lecturer and Industry Fellow del Sutardja Center for Entrepreneurship & Technology di Berkeley Engineering, con cui abbiamo parlato del profilo e del ruolo del mentor.
In tutti gli incontri che abbiamo avuto il ruolo del mentor è emerso come fondamentale e in parte controverso: chi lo intende in un modo, chi in un altro.
Stephen ci ha aiutato a chiarirci le idee, per esempio a distinguere fra training, mentoring e coaching, oppure fra structural vs organic mentoring.
Se volete approfondire, di seguito un utile link: We Studied 100 Mentor-Mentee Matches — Here’s What Makes Mentorship Work.

Infine, per chiudere la mattinata, una visita alla sede di San Francisco di Wharton.
Secondo la classifica 2017 delle Best Business School di Forbes, Wharton è al primo posto (seguita da Stanford e da Harvard).
Ovviamente le strutture e l’atmosfera del Wharton’s Bay Area Accelerator, riservato (for free) agli studenti e agli alumni di Wharton, sono assai diverse da quella degli spazi di co-working e di accelerazione visitati nei gg 1 e 2: è un po’ come passare dall’economy in first in
aeroplano. Alla fine del viaggio però si arriva nello stesso aeroporto. O forse no.

Nel pomeriggio, a pochi isolati di distanza da Wharton, c’è la sede di San Francisco di Galvanize, altra top istituzione che offre spazi di co-working (e tutti i servizi collegati) per startupper, ma anche uffici in configurazioni varie per startup già più consolidate, corporation (per esempio IBM, PWC), VC (es. BootstrapLabs), Università . Inoltre nella stessa sede offre mini master (es. in Data Science).
Un altro modello di business, meno centrato su programmi strutturati di incubazione/accelerazione e più orientato a servizi fisici e tradizionali.

È stata anche l’occasione per un incontro con uno dei nostri giovani cervelli espatriati: Luigi Congedo, MBA, 28 anni, da sei a
San Francisco, attualmente in BootstrapLabs. L’impressione è che sarà difficile farlo tornare in Italia a breve: qui a 28 anni è già principal di un fondo VC da 100 milioni di $ specializzato in AI e ha l’aria piuttosto indaffarata. Dal suo osservatorio (oltre 2000 startup all’anno, tutte focalizzate sulle applicazioni dell’AI) ci ha dato un suggerimento: invece di mandare in Silicon Valley startup spesso non mature e troppo country-centric (tradotto: un po’ provinciali, senza una visione globale del proprio progetto di impresa), destinate a diventare rumore di fondo nell’enorme flusso di startup della Valle, perché non invitate in Italia 2 o 3 expert di qui, a lavorare un po’ con le vostre startup, che le aiutino a crescere a casa prima di lanciarle in giro per il mondo?

Infine la giornata si è chiusa con una visita al Nasdaq Center for Entrepreneurship, a due isolati di distanza da Galvanize. Uno spazio – lussuoso – per incontri (qui si chiamano meetup), presentazioni e conferenze su tutto quello che può servire a fare crescere la community degli imprenditori high tech di San Francisco.
Tutto gratis, organizzato e offerto dal Nasdaq insieme ad altri sponsor corporate. Un’iniziativa al confine fra comunicazione, CSR, ed education: efficacia e sostenibilità nel tempo. . . chissà.
Intanto dalle 17 alle 18 ci siamo sentiti la presentazione dell’ennesimo libro su come avere successo con la propria startup (Shortcut your Startup by Carter Reum). Arrivati alle Q&A (in italiano si direbbe il dibattito) siamo tutti scappati.